martedì 6 maggio 2014

Che cosa resterebbe delle nostre tragedie


Che cosa resterebbe delle nostre tragedie se una bestiola letterata ci presentasse le sue?

Emil Cioran, Sillogismi dell’amarezza

“Odessa non perdonerà”

Cosa è accaduto esattamente a Odessa il 2 maggio scorso forse non lo sapremo mai. Forse solo fra anni la verità potrà essere scoperta e anche allora ci sarà chi la contesterà. Le ricostruzioni degli eventi vengono piegate agli interessi di parte, in modo da dare la colpa all’una o all’altra fazione. Per questo una verità è impossibile. L’eccidio di Odessa segna il passaggio a una nuova e più violenta fase del conflitto ucraino.

 “Quello che possiamo dare per certo è che gli scontri sono iniziati prima della partita di calcio tra la squadra di casa, il Chornomorets Odessa, e gli ospiti del Metalist Kharkiv” scrive Roland Oliphant, inviato del quotidiano britannico Daily Telegraph.  “Prima di arrivare allo stadio il corteo è stato attaccato da uomini che sembravano essere attivisti filorussi poiché – dicono i testimoni – portavano al petto il nastro nero e arancio di San Giorgio” riporta ancora il Telegraph. Testimonianze analoghe sono state raccolte dalla BBC. Per tutti gli osservatori e i testimoni l’attacco è sembrato ben pianificato. Le riprese video mostrano come gli attaccanti vestissero giubbotti antiproiettile, caschi, scudi e bastoni. Non sarebbero mancate le pistole. I morti erano quindi inevitabili e, anzi, cercati dagli assalitori.


Il dottor Andrei Vegerzhinsky, medico responsabile dell’Ospedale n°1, ha dichiarato al Telegraph che dalle ore 16 è cominciato l’afflusso di feriti. Circa novanta persone sono state curate nel suo ospedale e molte riportavano ferite da proiettili di gomma. Alle 18.40 una donna è arrivata con una ferita di arma da fuoco che le aveva reciso un arteria ed è morta dissanguata venti minuti dopo. Un capitano di polizia è attualmente ricoverato con gravi lesioni da arma da fuoco e un’altra vittima si troverebbe tra la vita e la morte con un polmone perforato. 

Giunti nella piazza antistante il palazzo dei Sindacati, i filorussi hanno costruito barricate. In quella piazza c’era un accampamento di tende dei filorussi che da qualche settimana protestavano contro il governo di Kiev. Essi erano però estranei alle violenze di quel giorno ed erano perlopiù giovani, ragazzi e ragazze, disarmati e provenienti dalle zone circostanti. Il gruppo filorusso che assalì il corteo pro-Maidan, andando in quella piazza, ha esposto altre persone a una violenza di cui non erano responsabili. Non sapremo mai se si è trattato di un calcolo (per usarli come scudi umani, come sostiene qualcuno) o di un caso.


Una cosa è certa, spaventati dall’arrivo dei pro-Maidan i filorussi della tendopoli hanno cercato rifugio dentro il palazzo del Sindacato. I pro-Maidan hanno presto sfondato le barricate erette dai filorussi violenti che sono quindi scappati anch’essi dentro al palazzo del Sindacato. Dentro al palazzo si trovavano quindi manifestanti pacifici, il gruppo di violenti e gente comune che lavorava negli uffici del Sindacato.

Arriviamo così al momento che ha trasformato i tafferugli in una tragedia. Non sapremo mai chi ha scatenato l’incendio: se i filorussi dall’interno o le bombe incendiare lanciate dall’esterno da parte degli assedianti pro-Maidan. Questi ultimi sostengono che l’incendio sarebbe scoppiato in modo accidentale al terzo piano dell’edificio, forse una molotov sganciata per sbaglio da qualche filorusso. Molte immagini e video mostrano però che le bottiglie incendiare furono lanciate, e in buon numero, dall’esterno. Può il palazzo essere andato a fuoco non per quelle lanciate dai pro-Maidan ma per una sganciata accidentalmente all’interno dai filorussi? Ricostruire l’accaduto richiederebbe lunghe e dettagliate indagini che, al momento, sembrano impossibili e che in ogni caso potrebbero essere contestate o condotte in modo irregolare.


Sappiamo però che la polizia lasciò fare, senza intervenire come già aveva fatto nel pomeriggio a favore dei filorussi. Sappiamo anche che le persone che si trovavano all’interno dell’edificio sono state aiutate a trovare scampo dalle fiamme anche da alcuni assedianti mentre altri, incuranti, esultavano per l’incendio. Al momento risultano 46 vittime, morte soffocate e carbonizzate dentro al palazzo. 

Il giorno dopo l’incendio a Odessa è esplosa la rabbia dei parenti delle vittime ma anche dei cittadini comuni. Migliaia di persone si sono radunate intorno al palazzo del Sindacato per protestare contro la polizia il cui capo è stato silurato dal governo all’indomani dell’eccidio. Uno di loro, intervistato dal Guardian, era Alexander Lugansky, veterano della guerra in Afghanistan, venuto per deporre cinque garofani rossi: “Mosca e Kiev sono entrambe colpevoli – ha detto – Odessa non perdonerà”.

Matteo Zola, East Journal (eastjournal.net)

venerdì 2 maggio 2014

A che scopo combattere fra noi?


Bergen-Belsen, aprile 1945. Fossa comune 

Ne ho abbastanza; a che scopo dobbiamo combattere fra noi, tutti noi, esseri umani? Sederci uno vicino all’altro dovremmo, e starcene in pace. E’ stato commesso un errore quando siamo stati creati; ci manca qualcosa, non so che nome dargli… Ma non lo troveremo di sicuro frugandoci vicendevolmente nelle viscere… A che scopo allora sventrarci l’un l’altro?

Georg Büchner, La morte di Danton

Progresso scientifico


Il professor Ludwig Fick di Marburg racconta nel suo libro “Sulle cause delle formazioni ossee” (1857) di aver estirpato a giovani animali i bulbi oculari al fine di ottenere una conferma della sua ipotesi secondo cui, in simili casi, le ossa crescono nei vuoti creatisi dopo l’estirpazione! Ancora: una menzione particolare meritano gli obbrobri che il barone Ernst von Bibra ha commesso a Norimberga e che, tanquam re bene gesta, racconta con incomprensibile disinvoltura al pubblico. Egli ha fatto deliberatamente morire di fame due conigli! Al fine di effettuare la ricerca, del tutto inutile ed oziosa, se a causa della morte per fame le particelle chimiche del cervello subiscano una modifica nelle loro proporzioni! Per l’utilità della scienza – n’est-ce pas? È mai possibile che a quei signori del bisturi e del crogiuolo non venga mai in mente che essi sono in primo luogo esseri umani e poi chimici? Come si può dormire tranquillamente, quando si tengono prigioniere in gabbia creature innocenti, [...] allo scopo di far patire loro una morte lenta e straziante per fame? È mai possibile che simili studiosi non si sveglino di soprassalto nel sonno?

Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena

giovedì 1 maggio 2014

Dead Skin Mask


Slayer, Dead Skin Mask

Dead Skin Mask è ispirata alle vicende di Ed Gein

Il 17 novembre 1957 la commessa di una drogheria di nome Bernice Worden sparì nel nulla. Fra i sospettati compariva Ed Gein. Durante l’ispezione di un capanno di proprietà di quest’ultimo, gli agenti fecero la prima macabra scoperta: il corpo della Worden, decapitato e appeso dalle caviglie, aperto in due a partire dagli organi sessuali; le mutilazioni erano state inflitte postmortem. La donna era stata uccisa con una carabina calibro 22. La testa fu rinvenuta in un’altra stanza della casa, con due chiodi conficcati ai lati. Nel resto della casa le autorità trovarono, tra le altre cose:

  •  quattro nasi;
  •  numerose ossa umane;
  •  calotte craniche trasformate in ciotole;
  •  nove maschere fatte in pelle umana mummificata e somigliante al cuoio;
  •  dieci teste di donne utilizzate come decorazioni nella camera da letto;
  •  una lampada con il manico di una colonna vertebrale;
  •  il rivestimento di un’altra lampada fatto in pelle umana;
  •  due labbra umane che decoravano una finestra;
  •  nove vagine in una scatola di scarpe.

La caccia alle foche

La caccia annuale alle foche è, come la pesca, un’industria importante ed una antica tradizione per gli abitanti delle comunità costiere canadesi. Le foche sono una risorsa naturale, fonte di reddito per quelle cittadine e quei villaggi remoti dove non esistono altre alternative. Sfortunatamente, questa attività industriale e la sua importanza economica per migliaia di Canadesi viene spesso fraintesa e condannata da immagini retoriche e di sensazionalismo che spesso raccontano una versione soggettiva, di parte - nonché talvolta addirittura falsa - sulla caccia alle foche. Il risultato è che l’industria, e le persone che dipendono da essa per la loro sopravvivenza, vengono ingiustamente messi in cattiva luce da organizzazioni potenti che antepongono i loro fini alla verità.

Ministero della pesca e degli oceani - Governo del Canada


La caccia alle foche è una attività legittima e sostenibile, basata su principi universali di conservazione faunistica; viene svolta in maniera umanamente accettabile ed è soggetta a regolamentazione severa. La popolazione delle foche in Canada è in salute ed è abbondante. Le cifre attuali indicano che le foche “della Groenlandia” - la specie più importante per questa industria - superano i cinque milioni di esemplari, quasi tre volte il numero rilevato negli anni settanta. Il governo del Canada applica delle severe misure di conservazione e si adopera con impegno per una gestione attenta delle foche onde assicurare che le colonie continuino ad essere forti e sane per anni a venire. Le foche cacciate sono animali autonomi che hanno già mutato il loro bianco manto da cucciolo. Non fanno più parte del nucleo familiare. La caccia ai cuccioli di foca “della Groenlandia” e di foca “dal Cappuccio” è severamente vietata, come anche il commercio, la vendita o il baratto delle pellicce di questi cuccioli.

Ministero della pesca e degli oceani - Governo del Canada


Per impedire un trattamento non sarebbe umanamente accettabile, le foche vengono soppresse velocemente ed in conformità con severi regolamenti. I metodi utilizzati per la caccia alle foche in Canada sono stati oggetto di molti studi ed sono stati approvati dalla Commissione Reale per le Foche e per la Caccia alle Foche la quale ha rilevato che i metodi usati per la caccia alle foche sono paragonabili a quelli adoperati per la caccia di altre specie animali selvatiche, nonché a quelli usati nei mattatoi per uccidere animali domestici - quali bovini e pollame - destinati al consumo umano. Due anni fa, l’Associazione Canadese di Medici e Veterinari (CVMA) ha pubblicato il Rapporto Speciale sulla Protezione degli Animali e la Caccia alle Foche della Groenlandia nel Canada Atlantico il quale ha decretato che praticamente tutte le foche della Groenlandia - un buon 98% - vengono uccisi nella maniera più rapida possibile.

Ministero della pesca e degli oceani - Governo del Canada



mercoledì 30 aprile 2014

La storia non progredisce


Varsavia. Epurazioni staliniane. Fossa comune

La storia non progredisce in base a principi democratici: avanza per mezzo della violenza.

Gottfried Benn, Doppia vita, 1950

Paralytic Child Walking


Eadweard Muybridge, Infantile paralysis: child walking on hands and feet (plate 539 from Animal Locomotion, 1887)

La paralisi cerebrale infantile indica i disturbi neuromuscolari a carattere non progressivo dovuti a lesioni cerebrali stabilitesi prima della nascita (da ipossia fetale, da difetti di sviluppo del sistema nervoso), oppure al momento della nascita (per ipossia da parto prolungato, da farmaci, da prematurità) o anche dopo la nascita (per es. in conseguenza di encefaliti). Essa comporta una perdita più o meno estesa di tessuto cerebrale. I quadri clinici sono molto vari, con prevalenza in alcune forme dei disturbi motori (problemi ortopedici, sensoriali), in altre dei disturbi psichici (problemi cognitivi, comportamentali), in altre ancora di manifestazioni convulsive (epilessia).


Francis Bacon, Paralytic Child Walking on All Fours (from Muybridge), 1961

Penso sia il lieve distacco dal reale che mi rituffa con maggior violenza nel reale stesso. Attraverso l'immagine fotografica mi ritrovo a vagare dentro l'immagine e a estrarne quella che ritengo sia la sua realtà più di quanto mi sia possibile semplicemente guardando a quella realtà. E le fotografie non sono solo punti di riferimento; spesso funzionano come detonatori di idee. [...] Le fotografie di Muybridge sono state un tentativo di registrare il movimento umano: un dizionario, in un certo senso. E questa cosa di creare delle serie è probabilmente collegata al fatto di aver guardato quei libri di Muybridge in cui le varie fasi di un movimento vengono mostrate attraverso fotografie separate.

Francis Bacon, Interviste con David Sylvester


Francis Bacon, After Muybridge - Woman emptying a bowl of water and paralytic child on all fours, 1965

Gli elementi che isolano la Figura, il tondo o il parallelepipedo, divengono essi stessi motori, e Bacon non rinuncia al progetto che una scultura mobile realizzerebbe più facilmente: poter spostare il contorno o il basamento lungo l'armatura, in modo che la Figura compia il suo "giretto" quotidiano. Ma è appunto il carattere di questo giretto a darci qualche ragguaglio sullo statuto del movimento in Bacon. Mai Beckett e Bacon sono stati tanto vicini; si tratta proprio di un giretto simile alle passeggiate dei personaggi di Beckett, i quali si spostano traballanti, senza mai lasciare il loro tondo o il loro parallelepipedo. Si tratta della passeggiata del bambino paralitico e di sua madre, entrambi carponi sul bordo della balaustra, in una curiosa corsa a handicap. [...] Così che, anche quando il contorno si sposta, il movimento consiste più nell'esplorazione amebica, cui la Figura si dedica dentro il contorno, che nello spostamento medesimo. Il movimento non spiega la sensazione, al contrario, si spiega con l'elasticità della sensazione, con la sua vis elastica. Secondo la legge di Beckett o di Kafka, al di là del movimento c'è l'immobilità, al di là dello stare in piedi c'è lo stare seduti, lo stare distesi, per poi infine dissolversi. L'autentico acrobata è quello dell'immobilità entro il tondo. 

Gilles Deleuze, Logica della sensazione

lunedì 28 aprile 2014

Imparare dalla storia

Iraq, 2003

Imparare dalla storia che non c’è niente da imparare dalla storia.

Elias Canetti, La tortura delle mosche

La peste di Atene

Da prima avevano il capo bruciante d’arsura, entrambi gli occhi rossi d’interna luce diffusa. Trasudava sangue la gola, dentro annerita, ostruita da piaghe si serrava la via della voce, e l’interprete della mente, la lingua, colava umore sanguigno, indebolita dal male, grave a muoversi, ruvida al tatto. Poi, quando per le fauci la forza del morbo aveva riempito il petto, affluendo fin dentro al cuore afflitto degli infermi, cedevano allora tutti i serrami della vita. L’alito fuor dalla bocca versava un lezzo greve, come odorano nel disfacimento i cadaveri abbandonati. Subito languivano tutte le forze dell’anima e tutto il corpo, sul limitare stesso della morte. Ai mali intollerabili erano assidui compagni un’ansiosa angoscia e un lagno solcato da gemiti. Spesso, notte e giorno, senza mai sosta, un singhiozzo frequente li logorava, costringendoli a contrarre tendini e membra già estenuati. Né per troppa arsura avresti notato in alcuno che scottasse la superficie della pelle, ma piuttosto era tiepido il contatto offerto alle mani; ma insieme tutto il corpo rosseggiava d’ulcere quasi impresse a ferro rovente, come avviene quando il fuoco sacro si spande per le membra. La parte interna del corpo ardeva fino alle ossa, nello stomaco divampava una fiamma come in una fornace. Nessun indumento, per quanto leggero e sottile, poteva dar ristoro ad alcuno, ma sempre e solo vento e frescura. Nei fiumi gelidi alcuni abbandonavano le membra ardenti per il morbo, lanciando il corpo nudo nelle onde. Molti a capofitto piombarono nell'acqua fonda dei pozzi, mentre s’accostavano spalancando la bocca protesa: un’arida sete implacabile, che travolgeva i corpi nelle acque, rendeva pari una gran pioggia a poche gocce. Non c’era tregua al male: i corpi giacevano esausti. La medicina balbettava in muto sgomento, ché sbarrati e ardenti per la malattia di continuo roteavano gli occhi privati del sonno. E molti altri segni di morte allora apparivano: la coscienza dell’animo offuscata da tristezza e paura, accigliata la fronte, il viso duro e stravolto, tormentate le orecchie e piene di ronzii, frequente il respiro o profondo e interrotto, lucide stille di sudore sparse sul collo, rari sputi minuti, macchiati di colore giallastro e salsi, espulsi a stento per la gola da una tosse rauca. Non cessavano di contrarsi i nervi delle mani, tremare gli arti, e dai piedi strisciare su, lentamente, il freddo. Infine, avvicinando il momento supremo, le narici erano compresse, la punta del naso aguzza e sottile, incavati gli occhi, affossate le tempia, fredda e dura la pelle del volto, floscia la bocca aperta, la fronte tesa e gonfia. 
Poco di poi le membra giacevano nella rigidità della morte.

Lucrezio, “La peste di Atene”, De rerum natura, VI, 1145-1196 
(sottile rielaborazione dalla stupenda traduzione di Armando Fellin)