mercoledì 30 aprile 2014

La storia non progredisce


Varsavia. Epurazioni staliniane. Fossa comune

La storia non progredisce in base a principi democratici: avanza per mezzo della violenza.

Gottfried Benn, Doppia vita, 1950

Paralytic Child Walking


Eadweard Muybridge, Infantile paralysis: child walking on hands and feet (plate 539 from Animal Locomotion, 1887)

La paralisi cerebrale infantile indica i disturbi neuromuscolari a carattere non progressivo dovuti a lesioni cerebrali stabilitesi prima della nascita (da ipossia fetale, da difetti di sviluppo del sistema nervoso), oppure al momento della nascita (per ipossia da parto prolungato, da farmaci, da prematurità) o anche dopo la nascita (per es. in conseguenza di encefaliti). Essa comporta una perdita più o meno estesa di tessuto cerebrale. I quadri clinici sono molto vari, con prevalenza in alcune forme dei disturbi motori (problemi ortopedici, sensoriali), in altre dei disturbi psichici (problemi cognitivi, comportamentali), in altre ancora di manifestazioni convulsive (epilessia).


Francis Bacon, Paralytic Child Walking on All Fours (from Muybridge), 1961

Penso sia il lieve distacco dal reale che mi rituffa con maggior violenza nel reale stesso. Attraverso l'immagine fotografica mi ritrovo a vagare dentro l'immagine e a estrarne quella che ritengo sia la sua realtà più di quanto mi sia possibile semplicemente guardando a quella realtà. E le fotografie non sono solo punti di riferimento; spesso funzionano come detonatori di idee. [...] Le fotografie di Muybridge sono state un tentativo di registrare il movimento umano: un dizionario, in un certo senso. E questa cosa di creare delle serie è probabilmente collegata al fatto di aver guardato quei libri di Muybridge in cui le varie fasi di un movimento vengono mostrate attraverso fotografie separate.

Francis Bacon, Interviste con David Sylvester


Francis Bacon, After Muybridge - Woman emptying a bowl of water and paralytic child on all fours, 1965

Gli elementi che isolano la Figura, il tondo o il parallelepipedo, divengono essi stessi motori, e Bacon non rinuncia al progetto che una scultura mobile realizzerebbe più facilmente: poter spostare il contorno o il basamento lungo l'armatura, in modo che la Figura compia il suo "giretto" quotidiano. Ma è appunto il carattere di questo giretto a darci qualche ragguaglio sullo statuto del movimento in Bacon. Mai Beckett e Bacon sono stati tanto vicini; si tratta proprio di un giretto simile alle passeggiate dei personaggi di Beckett, i quali si spostano traballanti, senza mai lasciare il loro tondo o il loro parallelepipedo. Si tratta della passeggiata del bambino paralitico e di sua madre, entrambi carponi sul bordo della balaustra, in una curiosa corsa a handicap. [...] Così che, anche quando il contorno si sposta, il movimento consiste più nell'esplorazione amebica, cui la Figura si dedica dentro il contorno, che nello spostamento medesimo. Il movimento non spiega la sensazione, al contrario, si spiega con l'elasticità della sensazione, con la sua vis elastica. Secondo la legge di Beckett o di Kafka, al di là del movimento c'è l'immobilità, al di là dello stare in piedi c'è lo stare seduti, lo stare distesi, per poi infine dissolversi. L'autentico acrobata è quello dell'immobilità entro il tondo. 

Gilles Deleuze, Logica della sensazione

lunedì 28 aprile 2014

Imparare dalla storia

Iraq, 2003

Imparare dalla storia che non c’è niente da imparare dalla storia.

Elias Canetti, La tortura delle mosche

La peste di Atene

Da prima avevano il capo bruciante d’arsura, entrambi gli occhi rossi d’interna luce diffusa. Trasudava sangue la gola, dentro annerita, ostruita da piaghe si serrava la via della voce, e l’interprete della mente, la lingua, colava umore sanguigno, indebolita dal male, grave a muoversi, ruvida al tatto. Poi, quando per le fauci la forza del morbo aveva riempito il petto, affluendo fin dentro al cuore afflitto degli infermi, cedevano allora tutti i serrami della vita. L’alito fuor dalla bocca versava un lezzo greve, come odorano nel disfacimento i cadaveri abbandonati. Subito languivano tutte le forze dell’anima e tutto il corpo, sul limitare stesso della morte. Ai mali intollerabili erano assidui compagni un’ansiosa angoscia e un lagno solcato da gemiti. Spesso, notte e giorno, senza mai sosta, un singhiozzo frequente li logorava, costringendoli a contrarre tendini e membra già estenuati. Né per troppa arsura avresti notato in alcuno che scottasse la superficie della pelle, ma piuttosto era tiepido il contatto offerto alle mani; ma insieme tutto il corpo rosseggiava d’ulcere quasi impresse a ferro rovente, come avviene quando il fuoco sacro si spande per le membra. La parte interna del corpo ardeva fino alle ossa, nello stomaco divampava una fiamma come in una fornace. Nessun indumento, per quanto leggero e sottile, poteva dar ristoro ad alcuno, ma sempre e solo vento e frescura. Nei fiumi gelidi alcuni abbandonavano le membra ardenti per il morbo, lanciando il corpo nudo nelle onde. Molti a capofitto piombarono nell'acqua fonda dei pozzi, mentre s’accostavano spalancando la bocca protesa: un’arida sete implacabile, che travolgeva i corpi nelle acque, rendeva pari una gran pioggia a poche gocce. Non c’era tregua al male: i corpi giacevano esausti. La medicina balbettava in muto sgomento, ché sbarrati e ardenti per la malattia di continuo roteavano gli occhi privati del sonno. E molti altri segni di morte allora apparivano: la coscienza dell’animo offuscata da tristezza e paura, accigliata la fronte, il viso duro e stravolto, tormentate le orecchie e piene di ronzii, frequente il respiro o profondo e interrotto, lucide stille di sudore sparse sul collo, rari sputi minuti, macchiati di colore giallastro e salsi, espulsi a stento per la gola da una tosse rauca. Non cessavano di contrarsi i nervi delle mani, tremare gli arti, e dai piedi strisciare su, lentamente, il freddo. Infine, avvicinando il momento supremo, le narici erano compresse, la punta del naso aguzza e sottile, incavati gli occhi, affossate le tempia, fredda e dura la pelle del volto, floscia la bocca aperta, la fronte tesa e gonfia. 
Poco di poi le membra giacevano nella rigidità della morte.

Lucrezio, “La peste di Atene”, De rerum natura, VI, 1145-1196 
(sottile rielaborazione dalla stupenda traduzione di Armando Fellin)

domenica 27 aprile 2014

Il "senso" della Storia


Campo di concentramento di Klooga, Estonia. Corpi bruciati

C’è più onestà e rigore nelle scienze occulte che nelle filosofie che assegnano un “senso” alla storia.

Emil Cioran, Sillogismi dell’amarezza 

Man in an electric chair


Man in an electric chair, 1908

NYPL Digital Gallery
Source: Mid-Manhattan Picture Collection / Punishments -- electrocution
Original Source: From Photographs: duplicates of copyright deposits, received by exchange 1957, 1958, 1959. [s.n.] Library of Congress. Prints and Photographs Division, Donor.

sabato 26 aprile 2014

Non ammettiamo che si interferisca con il libero sviluppo di un delirio


Francisco Goya, Il recinto dei pazzi, 1793

Non ammettiamo che si interferisca con il libero sviluppo di un delirio, altrettanto legittimo, altrettanto logico che qualsiasi altra successione di idee o di azioni umane. La repressione delle reazioni antisociali è per principio tanto chimerica quanto inaccettabile. Tutti gli atti individuali sono antisociali. I pazzi sono le vittime individuali per eccellenza della dittatura sociale; in nome di questa individualità, che è propria dell’uomo, noi reclamiamo la liberazione di questi prigionieri forzati della sensibilità, perchè è pur vero che non è nel potere delle leggi di rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono. Senza stare ad insistere sul carattere di perfetta genialità delle manifestazioni di certi pazzi, nella misura in cui siamo in grado di apprezzarle, affermiamo l’assoluta legittimità della loro concezione della realtà, e di tutte le azioni che da essa derivano.

Antonin Artaud, Lettre aux Medecins-chief des asiles de fous, 1925

"L'uomo è inaccettabile" (Emil Cioran) #2


giovedì 24 aprile 2014

Il sano intelletto animale


Dolk Lundgren, Graffito

Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale: vedano cioè in lui l’animale delirante, l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice.

Friedrich Nietzsche, La gaia scienza

La natura per costume e per istinto è carnefice


La natura per costume e per istinto è carnefice impassibile e indifferente della sua propria famiglia, de' suoi figlioli e, per così dire, del suo sangue.

Giacomo Leopardi

Il dolore senza senso


In tutti i tempi gli uomini più profondi hanno avuto compassione degli animali, proprio perché essi soffrono della vita, ma non hanno la forza di rivolgere la punta del dolore contro se stessi e di comprendere metafisicamente la loro esistenza; il vedere il dolore senza senso suscita anzi ribellione nel più profondo dell’anima.

Friedrich Nietzsche, Schopenhauer come educatore

Questo è uno universo: ma se buono o cattivo, non lo diciamo


Se noi non possiamo giudicare dei fini, né aver dati sufficienti per conoscere se le cose dell'universo sien veramente buone o cattive, se quel che ci par bene sia bene, se quel che male sia male; perché vorremo noi dire che l'universo sia buono, in grazia di quello che ci par buono; e non piuttosto, che sia malo, in vista di quanto ci par malo, ch'è almeno altrettanto? Astenghiamoci dunque dal giudicare, e diciamo che questo è uno universo, che questo è un ordine: ma se buono o cattivo, non lo diciamo. Certo è che per noi, e relativamente a noi, nella più parte è cattivo; e ciascuno di noi per questo conto l'avria saputo far meglio, avendo la materia, l'onnipotenza in mano. Cattivo è ancora per tutte le altre creature, e generi e specie di creature, che noi conosciamo: perché tutte si distruggono scambievolmente, tutte periscono; e, quel ch'è peggio, tutte deperiscono, tutte patiscono a lor modo. Se di questi mali particolari di tutti, nasca un bene universale, non si sa di chi [...]; se vi sia qualche creatura, o ente, o specie di enti, a cui quest'ordine sia perfettamente buono; se esso sia buono assolutamente e per se; e che cosa sia, e si trovi, bontà assoluta e per se; queste sono cose che noi non sappiamo, non possiamo sapere; che niuna di quelle che noi sappiamo, ci rende né pur verisimili, non che ci autorizzi a crederle. Ammiriamo dunque quest'ordine, questo universo: io lo ammiro più degli altri: lo ammiro per la sua pravità e deformità, che a me paiono estreme. Ma per lodarlo, aspettiamo di sapere almeno, con certezza, che egli non sia il pessimo dei possibili. (21 Marzo 1827)

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri

Grotesque mask in Marksburg Castle, Germany


Grotesque mask in Marksburg Castle, Germany, was used for torture. Jailers often heated such devices until they glowed before clamping them on traitors’ faces. 

Tutti gli animali diffidano dell’uomo


Tutti gli animali diffidano dell’uomo, e non hanno tutti i torti, ma quando sono sicuri che non vuol fargli del male, la loro fiducia diventa così grande che bisogna essere più che barbari per abusarne.

Jean-Jacques Rousseau, Le confessioni

Anniversario del Genocidio Armeno

 
 

L'espressione Genocidio armeno, talvolta Olocausto degli Armeni o Massacro degli Armeni (in lingua armena Հայոց Ցեղասպանութիւն Hayoc’ C’eġaspanowt’yown o Մեծ Եղեռն Medz Yeghern "Grande Crimine", in turco Ermeni Soykırımı "Genocidio armeno", a cui talvolta viene anteposta la parola "sözde", "cosiddetto") si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo è relativo alla campagna contro gli armeni condotta dal sultano ottomano Abdul-Hamid II negli anni 1894-96; il secondo è collegato alla deportazione ed eliminazione di armeni negli anni 1915-1916. Il termine genocidio è associato soprattutto al secondo episodio, che viene commemorato dagli Armeni il 24 aprile.


Il genocidio che sembra “maggiormente assomigliare alla ‘soluzione finale’ fu il tentativo turco di deportare gli armeni nel deserto siriano e di ucciderne il maggior numero possibile” (G. Mosse, Storia del razzismo in Europa, Laterza). Come la Shoah, fu “un’operazione realizzata durante l’emergenza della guerra” con la chiara intenzione di “liberare una volta per sempre la Turchia da una minoranza irrequieta”, paritetica alla volontà hitleriana di annientare la minoranza ebraica del Reich. Una chiara analogia tra i due genocidi è la deportazione: quello ebraico in vagoni bestiame o in camion a gas, quello armeno a marcia forzata.



L'esatto numero di morti è controverso. Le fonti turche tendono a minimizzare la cifra, quelle armene a gonfiarla. Nel 1896 il governo ottomano registrava in 1.440.000 gli Armeni residenti in Anatolia. Secondo il Patriarcato armeno di Costantinopoli, nel 1914 gli Armeni anatolici andavano da un minimo di 1.845.000 ad un massimo di 2.100.000. Le stime variano da un minimo di 950.000 secondo le fonti scritte turche fino a 3.500.000 secondo le ipotesi degli Armeni. Lo storico Arnold J. Toynbee, che fu ufficiale dell'intelligence britannica in Anatolia nella prima guerra mondiale, stima in 1.800.000 il numero complessivo degli Armeni di quel paese. L'Enciclopedia Britannica indica come probabile il numero di 1.750.000.


Il numero degli armeni morti nel secondo massacro è ancora più controverso. Fonti turche stimano il numero dei morti in 200.000, mentre quelle armene arrivano a 2.500.000. Talat Pasha, Gran Visir nel 1917-1918 e importante Giovane Turco, stima la cifra in 300.000 morti. Toynbee ritiene che i morti furono 1.200.000, McCarthy 600.000. Gli storici stimano che la cifra vari fra i 500.000 e 2.000.000 di morti, ma il totale di 1.200.000/1.300.000 è quello più diffuso e comunemente accettato.


Il compito più alto di un uomo


Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà.

Emile Zola

"L'uomo è inaccettabile" (Emil Cioran) #1


Pietà per la carne macellata


Francis Bacon, Figure with Meat, 1954

“Pietà per la carne macellata”! La carne macellata è senza alcun dubbio l’oggetto eminente della pietà di Bacon, il suo unico oggetto di pietà, la sua pietà di anglo-irlandese. E, su questo punto, Bacon è come Soutine, con la sua immensa pietà di ebreo. La carne macellata non è carne morta, essa ha conservato tutte le sofferenze e ha assunto tutti i colori della carne viva. Tanto dolore convulso e vulnerabilità, ma anche affascinante invenzione, colore e acrobazia. Bacon non dice “pietà per le bestie”, ma ritiene piuttosto che ogni uomo che soffre è carne macellata. La carne macellata è la zona comune all’uomo e alla bestia, la loro zona di indiscernibilità; essa è quel “fatto”, quel particolare stato in cui il pittore si identifica con l’oggetto del proprio orrore e della propria compassione. Il pittore è un macellaio, certo, ma egli sta nella sua macelleria come in una chiesa, con la carne macellata come Crocifisso. Soltanto nelle macellerie Bacon è un pittore religioso. “Le immagini di mattatoi e carne macellata mi hanno sempre molto colpito. Mi sembrano direttamente legate alla Crocifissione […] Che altro siamo, se non potenziali carcasse? Quando entro in una macelleria, mi meraviglio sempre di non esserci io appeso lì, al posto dell’animale” (Francis Bacon).


Gilles Deleuze, Logica della sensazione