Da prima avevano il capo bruciante d’arsura, entrambi gli occhi
rossi d’interna luce diffusa. Trasudava sangue la gola, dentro annerita,
ostruita da piaghe si serrava la via della voce, e l’interprete della mente, la
lingua, colava umore sanguigno, indebolita dal male, grave a muoversi, ruvida al
tatto. Poi, quando per le fauci la forza del morbo aveva riempito il petto,
affluendo fin dentro al cuore afflitto degli infermi, cedevano allora tutti i serrami della vita. L’alito fuor dalla bocca versava un lezzo greve,
come odorano nel disfacimento i cadaveri abbandonati. Subito languivano tutte le forze
dell’anima e tutto il corpo, sul limitare stesso della morte. Ai
mali intollerabili erano assidui compagni un’ansiosa angoscia e un lagno
solcato da gemiti. Spesso, notte e giorno, senza mai
sosta, un singhiozzo frequente li logorava, costringendoli a contrarre tendini e membra già estenuati. Né per troppa arsura avresti notato in alcuno che
scottasse la superficie della pelle, ma piuttosto era
tiepido il contatto offerto alle mani; ma insieme tutto il corpo rosseggiava
d’ulcere quasi impresse a ferro rovente, come avviene quando il fuoco sacro
si spande per le membra. La parte interna del corpo ardeva fino alle ossa,
nello stomaco divampava una fiamma come in una fornace. Nessun indumento, per
quanto leggero e sottile, poteva dar ristoro ad alcuno, ma sempre e
solo vento e frescura. Nei fiumi gelidi alcuni abbandonavano le membra
ardenti per il morbo, lanciando il corpo nudo nelle onde. Molti a capofitto
piombarono nell'acqua fonda dei pozzi, mentre s’accostavano spalancando la
bocca protesa: un’arida sete implacabile, che travolgeva i corpi nelle acque, rendeva
pari una gran pioggia a poche gocce. Non c’era tregua al male: i corpi giacevano
esausti. La medicina balbettava in muto sgomento, ché sbarrati e ardenti
per la malattia di continuo roteavano gli occhi privati del sonno. E molti
altri segni di morte allora apparivano: la coscienza dell’animo offuscata da
tristezza e paura, accigliata la fronte, il viso duro e stravolto, tormentate
le orecchie e piene di ronzii, frequente il respiro o profondo e interrotto,
lucide stille di sudore sparse sul collo, rari sputi minuti, macchiati di
colore giallastro e salsi, espulsi a stento per la gola da una tosse rauca. Non
cessavano di contrarsi i nervi delle mani, tremare gli arti, e dai piedi
strisciare su, lentamente, il freddo. Infine, avvicinando il momento supremo,
le narici erano compresse, la punta del naso aguzza e sottile, incavati gli
occhi, affossate le tempia, fredda e dura la pelle del volto, floscia la bocca
aperta, la fronte tesa e gonfia.
Poco di poi le membra giacevano nella rigidità
della morte.
(sottile rielaborazione dalla stupenda traduzione di Armando Fellin)
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